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Allegations

Di cose ne sono successe, tra il Ringraziamento e l’inizio del nuovo anno.

Il lunedì della settimana del Ringraziamento ero a casa con i piccoli e parlavamo allegramente di Babbo Natale mentre si ingozzavano di pizza, quando Nancy, assistente sociale a sorpresa, richiamata alla nostra soglia da una telefonata anonima che suggeriva trascuratezze e abusi sui suddetti piccoli, ci ha bussato alla porta. Allegations, le ha chiamate.

Ci ho messo due mesi a scriverlo perchè ogni volta, ancora adesso per la verità, mi viene una gastrite fulminante. Nancy ha fatto il suo lavoro, discreta e gentile, mi ha detto che la telefonata anonima non poteva dirmi chi l’aveva fatta, ma mi ha fatto capire che la bisnonna di Little B. non ci ama affatto, e che queste cose succedono sempre (!), poi mi ha fatto mille domande davanti  ai bambini  esagitati e shockati – che le visite non programmate non piacciono a nessuno – e sempre discretamente e gentilmente, me li ha fatti spogliare per controllarli. Un normale lunedì sera nella routine della nostra tranquilla famiglia. Io ho messo in atto tutte le tecniche yoga new age mindfulness che conosco (ovvero tre respiri profondi e via) e le ho spiegato che sì, Little B. ha una cicatricina attorno a un occhio per averlo sbattuto sul cancello della scuola due mesi prima, e per fortuna che c’è la relazione scritta della maestra,  e che se lei lo vuole chiamare occhio nero faccia pure; si, Little B. ha la pelle secca anche se lo ungiamo di olio di cocco dalla mattina alla sera; e che si, ha le ginocchia un po’ scorticate come tutti i bambini di quattro anni che vivono a LA e indossano shorts undici mesi all’anno, e corrono e saltano e si arrampicano -magari lui corre e salta e si arrampica un po’ al di sopra della media.

La storia del cancello e dell’olio di cocco l’ho dovuta raccontare estesamente anche il giorno dopo ai tre poliziotti che sono venuti a trovarci, e che mi hanno fatto prendere un colpo anche se sapevo che dovevano arrivare; due giorni dopo a Joseph, altro assistente sociale a sorpresa di cui conservo un caro ricordo di quando mi ha rimproverata perchè non tengo un diario con le “bue” dei miei figli con allegato album fotografico- io che pensavo di essere una mamma decente perchè mi ricordo le gite scolastiche, i lunch box, gli allenamenti di basketball e faccio parte di VeganLAMoms su facebook; e una settimana dopo al pediatra che ha dovuto ricontrollare pelle secca, ginocchia sbucciate e “occhi neri” su tutta la figliolanza.

Sempre all’insegna di una vita spericolata, nello stesso periodo  Little B, sempre lui, ha pensato bene di arrampicarsi al parco e scivolare su un’attrezzatura con una catena e spaccarsi il lobo dell’orecchio destro in due, pronto soccorso, punti e tutto a posto come prima. In ospedale lui era così contento del ghiacciolo e degli stickers regalati dai dottori che non vede l’ora di spaccarsi il lobo sinistro e tornarci.

Loro, i bambini, non l’anno presa bene. Cinquanta volte al giorno ripetiamo che è tutto a posto e sono solo controlli di routine, e nessuno li porterà via. Ma intanto K. ha ricominciato a bagnare il letto, Little B. ha smesso di dormire la notte, e Baby L.non ci ha capito molto però ogni tanto morde.

Poi Babbo Natale è arrivato, e ci ha portato un ukulele, troppi Lego e un appartamento nuovo e più grande, a Capodanno sono andata a letto alle dieci e venti, oggi mi hanno detto che l’investigation è conclusa e non c’è niente da temere e possiamo respirare di nuovo.

Buon anno in ritardo, vi auguro un anno di poche sorprese, ma belle, e senza allegations.

 

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Giovane coppia con cane

Giovane coppia con cane a passeggio nel vicinato che mi ha visto scaraventare il monopattino di mio figlio nella spazzatura in un momento di forte esasperazione e dopo un pomeriggio di alta tensione, non mi giudicare male.

Giovane coppia spensierata che avrà pensato che razza di madre scellerata mentre mio figlio si gettava a terra e urlava ancora di più destando l’attenzione di ancora più vicini, quello che non sai è che quell’innocente bambino di sei anni per tutto il pomeriggio aveva torturato il fratello di quattro anni, istigato i suoi amici più grandi al parco contro di lui e spinto e preso in giro e fatto sgambetti appena la sottoscritta sembrava girare la testa dall’altra parte.

Giovane coppia con cane che non deve ogni giorno procurare snack sani ma appetitosi all’uscita da scuola e durante il playtime al parco e come incentivo per lasciare il parco, cerca di capire.

Giovane coppia felice, cinque anni fa ero voi – ma con gatto. Che poi è scappato.

Giovane coppia che non deve ricordarsi libri, audiolibri, album per colorare con pastelli a cera che si sciolgono al sole e giochi intelligenti per sopravvivere alla traversata in macchina di Los Angeles, sono sicura che avete cose più interessanti a cui pensare.

Cara giovane coppia, potrà sembrare un scusa, ma dal giorno delle elezioni non mi sento mica tanto bene. Ho i formicolii alle braccia e un sasso sullo stomaco e la testa che scoppia.

Giovane coppia shockata, che una scena così non l’avevate mai vista e che i genitori a Los Angeles sono tutti perfetti e dicono ai figli cose del tipo I like your attitude! o Good accepting no!

Giovane coppia che non ha la pressione degli assistenti sociali che mi dicono di giocare quindici minuti al giorno con LB da sola e senza fargli domande perchè lo mettono sotto pressione, o dei terapisti che mi dicono che BL deve dire venti parole entro Natale, o degli insegnanti che mi dicono che K. è un po’ troppo playful, sono sicura  che anche voi avete i vostri problemi. Coppia a passeggio, forse non lo sapete, ma a parte Tony che mi aiuta dopo il lavoro e CJ il fantastico babysitter del mercoledì pomeriggio, questi pischelli me li gestisco io da sola,  con tutto il parentado in Italy.

Giovane coppia, sono sicura che voi vi ricordate l’ultima volta che siete usciti insieme da soli. Io pure me le ricordo tutte, per il 2016 abbiamo il 14 febbraio, il 23 agosto e il 30 ottobre. E mi sa che per quest’anno finisce qui.

Coppia bella con cane, io leggo tutti i libri e tutti i blog e tutti gli articoli sul parenting, ma BL sono mesi che dorme nel nostro letto e non ne sono proprio entusiasta.

Giovane coppia, è da quando Tony è andato a Berlino per una settimana abbandonandomi qui con prole che mi arrogo il diritto di passare un fine settimana fuori da sola ma dentro il mio cuore so che non succederà mai.

Giovane coppia con cane e probabilmente senza figli, spero di non avervi fatto passare la voglia.

Giovane coppia, tranquilli che poi il monopattino siamo andati a recuperarlo.

E comunque il lancio del monopattino un po’ di soddisfazione me l’ha data.

 

8

Conversazioni coniugali

Lo sai che è morto Dario Fo?

Bob Bylan ha preso il Nobel!

Oggi Baby L. ha detto truck!

Cazzo, sta vincendo Donald Trump!

E’ morto Leonard Cohen!

Questi gli scambi verbali significativi che io e Tony siamo riusciti ad avere nell’ultimo mese. Più quella volta che ci siamo messi a parlare di mitocondri ma erano già le nove e trenta pm e io mi sono addormentata, e quell’altra volta che abbiamo parlato del video dell’iguana inseguito dai serpenti del National Geographic.

Dai, per questo mese non ci possiamo lamentare.

 

 

 

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Come il ketchup sul melograno

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Hai bisogno di gridare?

Si, mommy.

Ok, aspetta che parcheggio.

Parcheggio. Apro la macchina, estraggo Baby L. per sua protezione, chiudo la macchina, gli dico Vai.

Little Brother urla, forte, acutissimo, per quindici-venti secondi, poi smette, mi guarda, aspetta la seconda domanda. Ancora un po’? Si, ancora un po’ (I have some more in me). Altre urla, meno prolungate, soddisfatte. Apro lo sportello, hai finito? Si mommy, ho finito.

Questa scena si è ripetuta ogni giorno per gli scorsi quattro mesi. Non ci vuole una laurea in psicologia per capire perchè. Poi improvvisamente l’altro giorno torniamo a casa, scendo dalla macchina, mi guarda e mi fa – Mommy, non ho più bisogno di gridare.

E vorrei dirvi che dopo questa straziante scena hollywoodiana strappalacrime magicamente tutto è risolto, che Little Brother è un piccolo Lord adesso, che si lava i denti senza ballare la macarena, che ha smesso di versare il caffè di Tony tutte le mattine a tavola e che non mette più il ketchup sul melograno.

E potrei anche parlarvi  di K., che è sempre più alto, più magro, più sdentato e sempre bello, ossessionato da Pina Bausch e terrorizzato da Donald Trump – e come dargli torto. O potrei parlarvi di Baby L., che a diciassette mesi le ha tutte vinte perchè troppo adorabile per dirgli di no e probabilmente fa tutte quelle cose che fanno tutti i baby di diciassette mesi ma che per noi sono incredibili anche quando ripete Daddy quattrocento volte (che potrebbe anche essere interpretato come dirty o guarda a seconda del contesto).

Ma questo post è dedicato a Little Brother, ormai fratello di mezzo e figlio perso e ritrovato.  Ritrovato questa volta per sempre, visto che fra dieci giorni firmiamo le prime carte dell’adozione, al sicuro con noi per sempre, anche se per farglielo capire dobbiamo ballare la macarena con lui e arrotolarlo come un salame nel tappetino yoga e portarlo a correre dopo cinque ore di hiking la domenica- almeno ci teniamo in forma. Perchè lui ora ride un po’ di più e ci guarda negli occhi un po’ di più, e a volte chiede per favore di mettere il ketchup sul melograno.

E se qualche volta gli scappa un urlo, non ci fa niente.

 

 

 

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Where the wild things are

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Va meglio. Beh, un po’ meglio, nel senso che a volte sembriamo la famiglia del Mulino Bianco se al Mulino Bianco i figli a colazione cantassero ossessivamente WewilWewillRockYaRockYa ondeggiando mani e testa vorticosamente e versando tutto il caffè così faticosamente preparato e agognato. Va un po’ meglio, perchè alcuni giorni riusciamo a caricarci tutti e cinque in tre biciclette e a pedalare fino a Santa Monica, ci avventuriamo a sentire concerti jazz sul prato del LACMA con tanto di coperta Bed Bath and Beyond e cestino di vimini da picnic professionale come le famiglie i cui figli sgranocchiano carotine e stanno fermi per più di due minuti. Va molto meglio anche perchè K. e Little Brother hanno raggiunto il record olimpionico di gioco senza litigio di venticinque minuti, e l’ultima volta che hanno cercato di accecare Baby L. con un aeroplano è stato otto giorni fa. Altri giorni dovrebbero darmi l’Oscar per la pazienza,  ripeto il mantra della mia insegnante di yoga I will I must I can, e poi mi metto a ridere da sola.

E’ stata un’estate un po’ selvaggia ma migliore dell’anno scorso, siamo volati tutti in Italy anche se non tutti insieme, lo zio sta bene, i nonni ci hanno salvato e zia Bavaglina ha trovato il fidanzato, Baby L. ha cominciato a camminare e ora col suo passo atassico vaga pericolosamente per la casa, K. parla un buffo italiano fluente e Little Brother canta ancora Andiamo A Comandare (sigh!), Gianvito mi ha portato al birrificio (grazie :)) e ho comprato cinque paia di scarpe a Milano, anche se a Tony ho detto che erano solo tre.

Tornati a LA, vivo nel terrore angosciante che questi bambini non possano crescere insieme, ma anche nel panico che Baby L. mi butti il telefono nel cesso. Che infatti vivo attaccata al telefono, giudicata dalle madri del parco, che non sanno che sto parlando col terapista, prendendo appuntamenti con l’assistente dell’avvocato, intervistando una possibile Mary Poppins, rispondendo a un questionario dell’assistente sociale (pensate di avere abbastanza supporto come famiglia? Uh come no! Quali sono le vostre attività preferite nel fine settimana? Sopravvivere! Come va il vostro rapporto di coppia? Benissimo, cinque anni di matrimonio ci sembrano cinquanta!). Vivo aspettando quella email che mi dica cosa è successo oggi in tribunale.

Vivo anche cercando di scrivere qualcosa in questo blog, e mille volte vengo interrotta da: Mommy Mommy!, sonno, fai-il-training-online per foster parents, chiama la baby sitter, ricordati di leggere almeno un libro al giorno a Baby L., Mommy Mommy, Dadadada,  controlla dove è il telefono, più sonno, manda quella foto carina ma del tutto irrelevante al gruppo Nonni Whatsapp, MamaDada,e via dicendo.

Altri giorni ancora è solo I wish I can..

 

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You have your hands full

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Al prossimo che mi dice you have your hands full gli do una testata. Ma poi che significa, hai le mani piene, se io di bambini ne ho tre e di mani solo due, è evidente che non ce la posso fare.

Perchè con tre piccolini è come essere di guardia 24/7, con alcune notti che vanno meglio di altre, ma di solito ti svegli più stanco di quando sei andato a dormire. E i giorni. I giorni.

Perchè avrei sempre bisogno di qualcuno che mi allacci le scarpe (e oggi veramente un giovane homeless si è offerto di allacciarmele mentre spingevo il passeggino con due scalmanati dentro e non mi sono tirata indietro, anzi gli ho detto you made my day).

Perchè se non vi parlo delle lavatrici è meglio. O dei viaggi in in macchina, tutti stipati stretti stretti nella toyota corolla, a contare tutti gli autobus e esaltarsi per i cartelloni delle tartarughe ninja e a cavarsi gli occhi l’uno con l’altro.

Perchè Baby L. è in piena fase Biscotto di Roger Rabbit, non puoi perderlo di vista un attimo che combina disastri, Little Brother non ascolta manco a morire o fa finta di non capire, e K. che ormai è quasi alto quanto me e si è diplomato dal Kindergarten – con tanto di fiumi di lacrime della mamma- gioca a fare il baby portato dall’assistente sociale, e tu attrice multitasking devi impersonare contemporaneamente madre adottiva, assistente sociale, madre bio (belly tummy mommy) e perchè no, pure il giudice. Un psicodramma complicatissimo che viene di solito richiesto mentre il vero baby piange/deve essere cambiato/nutrito/viene torturato da Little Brother.

Perchè muoversi in bicicletta diventa sempre più arduo – anche se noi non molliamo. Cioè Tony ci crede ancora.

Perchè, ma si sapeva, la gente ti guarda come se avessi il prezzemolo fra i denti, ti vorrebbe dire qualcosa ma pare brutto- e alla fine si, ti dicono solo You have your hands full.

Perchè ho comprato il libro salvavita Siblings Without Rivalry, sottotitolo disperato how to help your children live together so you can live too, ma comunque non ho il tempo di leggerlo.

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Ma ci sono anche degli innegabili vantaggi nel crescere tre bambini di uno, tre e cinque anni.

Per cominciare, non c’è mai, dico mai, bisogno di mettere la sveglia la mattina, perchè c’è ne sempre uno che si sveglia prima delle sei. Soprattutto nel fine settimana. Quindi quell’ansia prima di addormentarsi oddio non ho messo la sveglia, scordatevela.

Poi, nell’eventualità che, in ritardo e deprivata di sonno da settimane, dimentichi la borsa sul cofano della macchina e parti, per poi visualizzarla sullo specchietto retrovisore cinque minuti dopo su Santa Monica blvd, quando torni a recuperarla il tuo telefono è perfettamente preservato, nonostante diversi autoveicoli ci siano passati sopra, grazie al doppio strato di pannolini e salviettine e amenità varie quali gommine di paw patrol e calze spaiate.

Ancora, la scuola di tuo figlio, mossa a pietà, organizza il mitico meal train, ovvero le famiglie della scuola si organizzano e per un mese ci portano la cena a casa. Una marea di Mc&Cheese e “lasagne” vegetariane e brownies, quasi tutto cibo di asporto, ma lo sapevamo che gli americani non cucinano e prima dell’estate ci sta di mangiare per un mese come loro in previsione della prova costume. Ma comunque non cucino la cena da un mese e non mi lamento.

Infine, quando la sera sono tutti a letto a orari americanissimi e finalmente accedi a Netflix per guardare una puntata di Parenthood (qualcosa di diverso no, eh?) e clicchi su EXIT KIDS, vuoi mettere la soddisfazione.

Ma soprattutto, quando hai tre figli, due ti sembrava facile.

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Fullest house

Non so se ce la facciamo è il nostro nuovo mantra.

Little Brother è arrivato stasera, e io dovrei essere felice, ma non ci riesco. Dopo dieci giorni di tachicardia, dieci giorni in cui l’assistente sociale mi diceva ve lo porto oggi o domani, dieci giorni in cui abbiamo mangiato tortellini agli spinaci con la salsa al pomodoro tutte le sere perchè sono i suoi preferiti, dieci giorni in cui mi sono seriamente chiesta se mi fossi immaginata tutto, oggi lui dorme nel suo lettino, e non è stato facile mettercelo, e non sarà facile tutto il resto.

Little Brother è stato con noi un mese e mezzo, l’anno scorso, e non aveva neanche tre anni, poi per cinque mesi ha vissuto con la bisnonna, cinque mesi in cui mi dicevano che stava bene e andava all’asilo, ci avevo fatto pace e avevo anche dato via i suoi vestiti (mossa furbissima). Adesso vengo a sapere che per cinque mesi non faceva altro che cercare di scappare di casa per tornare da Mommy, Daddy e Big Brother, fin quando un giorno non ci è riuscito davvero uscendo dalla finestra del bagno, atterrando sul bidone della spazzatura e cominciando a girovagare fin quando è stato ritrovato dai vicini e chiamata la polizia. Tre anni e mezzo.

E’ arrivato con vestiti che puzzano di fumo in due sacchi della spazzatura e ancora i pannolini. Ha giocato tanto con Big Brother, ha scavato sotto la pila di libri per trovare Go Dog Go che leggevamo sempre (cinque mesi fa!), ma non ci ha mai guardato negli occhi, poi però quando gli abbiamo mostrato la nostra foto ha detto this is Mommy and this is my Daddy.

Non so se ce la facciamo, loro sono tre, noi siamo due, la casa è piccola, Cabiria è scappata per davvero, io poi sono in netta minoranza. Non so se ce la facciamo lo abbiamo detto tante volte, quando ci siamo trasferiti a LA, quando è arrivato K. e l’adozione sembrava lunga e difficile, quando è arrivato Little Brother la prima volta e poi se ne è andato, quando è arrivato Baby L. che per inciso è adorabile e porteremo in Italia quest’estate.

Dovrei essere felice  ma sono incazzata perchè avremmo dovuto trascorrere insieme il suo compleanno e Natale, perchè avremmo dovuto portarlo in tutti i posti dove in questi mesi abbiamo pensato se qui c’era lui faceva un casino, perchè io avevo perso le speranze ma lui no. Lui lo sapeva di farcela, anche a costo di arrampicarsi dalla finestra del bagno come nei migliori film americani.

 

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Baby Tuesday

K è arrivato di martedì, ed è rimasto per sempre.

Little Brother era arrivato di mercoledì e se ne è andato via di mercoledì.

Baby L. è arrivato di martedì, due mesi fa . Non sappiamo se e quando se ne va. Dopo due mesi,  abbiamo buone speranze che resti.  Adesso ha quasi undici mesi, gattona a modo suo, fa le bolle dal naso, e blatera bilingue.

E abbiamo ricominciato di nuovo, metti via le medicine, bidone della spazzatura sotto il lavandino, coltelli sotto chiave, assistenti sociali simpatici che ti chiedono come te la cavi a cambiare i pannolini- ma se vuoi lascio fare a te, guarda.  In più fai sparire tutti i minuscoli pezzi di lego che sembrano avere invaso la casa e cerca di tamponare le crisi di gelosia di K con gelato, biscotti e Netflix -pessima idea. In più in più non ho mai avuto un baby,  e allora studia su internet le routine delle altre mamme, prepara pappette e formule, prova nuovi orari e bedtime (a letto alle sei di sera come i bimbi americani grazie), spera che dorma quattordici ore al giorno. Strozzati quasi con i baby wrap/sling/carrier che sono tanto fighi visti addosso alle altre mamme ma una trappola addosso a me. E scopri che avere un baby così è quasi rilassante, e già lo ami da morire. Fantastico, no?

Dopo due mesi che ci siamo finalmente assestati, crisi di gelosia in calo e riusciamo pure a fare hiking il fine settimana, arriva questa email. Oggi.

Che io stavo guidando con i bambini in macchina e per l’agitazione ho preso la 405 che non la prendo mai e sono uscita alla prima uscita e ho chiamato l’assistente sociale immediatamente.

Little Brother torna. Little Brother torna da noi, martedì o mercoledì – fucking foster system, fatemelo dire, ma lui torna. E’ stato con noi per un mese e mezzo, e in questi cinque mesi di separazione non ha fatto altro che chiedere di noi e cercare di tornare da noi. Questi cinque mesi che ho avuto il cuore spezzato nonostante tutto. Adesso, Tony è sotto shock, io piango da sette ore per le troppe emozioni, il gatto è scappato, la nostra casa è troppo piccola e probabilmente scriverò il prossimo post quando K si diploma.

Ma intanto lui torna.

 

 

 

 

9

Lo sapevo ma non me l’aspettavo

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La mia migliore amica partorisce a giorni, ovvero deve partorire da circa dieci giorni (daje), e io volevo dirle che non sono mai stata la mamma di un neonato ma qualcosa la so, o l’ho scoperta strada facendo.

So che quando aspettavo K pensavo che quando sarebbe arrivato sarei stata così contenta così felice così entusiasta che non avrei mai, dico mai, sentito la stanchezza. Sarei stata un supereroina dell’energia. WonderMom. MilliontaskingMe. Cazzate ne ho pensate tante nella mia vita ma questa ha proprio vinto.

Pensavo di aver letto abbastanza libri e stabilito la mia filosofia di genitore e deciso quello che si poteva fare e quello che assolutamente no. Ho scoperto che quello che ho studiato si deve adattare alla personalità (esuberante?) di mio figlio, che ho sempre tanto da imparare e che l’aiuto degli altri, genitori, insegnanti, amici, gruppi di supporto e risorse varie, è -quasi-sempre il benvenuto. E che ieri gli ho permesso di mangiare gelato per merenda e cupcake dopo cena.

Pensavo che sarei stata il genitore più flessibile e pazzerello ma sono anche quella che programma le giornata di K minuto per minuto e spesso si arrabbia più velocemente. Che avrei seguito i suoi interessi ma poi l’ho iscritto al corso di Street Art invece che a calcio e non è stato un successo.

Sapevo che sarebbe stato bello essere mamma ma non così tanto. Sapevo che mio figlio avrebbe avuto un bravo papà ma non così tanto. Sapevo che i nonni sarebbero impazziti ma non tanto da scrivermi su Whatsapp alle tre di notte dell’avvistamento dei Paw Patrol in cartoleria, o da cantare miscappalapipì tutti in coro il sabato mattina su Skype.

Sapevo che la casa sarebbe stata un po’ più in disordine, ma i lego nella custodia del computer e i minions dentro il cesso, non me li aspettavo con certezza. Non ti dico dello stato della macchina, che è meglio. Sapevo che sarei stata sempre orgogliosa di mio figlio, anche quando mi ha detto che da grande vuole fare Bruno Mars.

Non sapevo che ci sarebbero stati momenti in cui ho detto non ce la faccio, e Tony mi rassicurava dell’opposto, e viceversa. Avevo intuito ma ho scoperto con una piacevole consapevolezza come andarsi a fare una doccia di cinque minuti può essere piacevole quanto una vacanza di tre settimane a Lampedusa dove vai tutti i giorni alla spiaggia dei conigli e giri l’isola in tandem e mangi gli arancini e panzerotti per pranzo. Mmm, quasi.

Non sapevo che in questo momento così importante per te sarei stata a diecimila chilometri di distanza, e neanche me l’aspettavo.

Daje che in estate mi dici cosa hai scoperto (z)tu.

 

 

 

 

 

13

LA Family Day

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Conosco Tiffany, afroamericana, mingherlina con tanti tatuaggi, che da single si è presa  baby Kayden in affido, poi ha trovato Shea, afroamericana anche lei, alta e imponente, che fa la parrucchiera. Insieme Tiffany e Shea hanno adottato Kayden. Tiffany è timida e dolce, Shea è sempre attaccata al cellulare per fare shopping online, Kayden adesso ha quattro anni e dei capelli spettacolari, vivono a Los Angeles e passano le estati a New York.

Conosco uno dei due papà di Max. Il papà che conosco è un ex-atleta, sembra Patrick Swayze dei bei tempi, l’altro lavora in banca ed è sempre impegnato. Vivono a West Hollywood e portano Max a danza e pianoforte e calcio e nuoto. Max ha sei anni e e una recente diagnosi di autismo. Quando il papà che conosco ci ha raccontato della diagnosi era incredibilmente felice e sollevato, sollevato di capire molte cose e felice di intravedere modi diversi per interagire con suo figlio.

Conosco Ugo e Diego, una coppia di italiani che vive a Beverly Hills, dalla scorsa estate hanno una neonatina in affido, per Halloween si sono vestiti tutti e tre da bunnies e per Natale da Elfi. Sono simpatici, a volte ridicoli, spesso incasinati. Ugo e Diego studiavano a Padova ma non si conoscevano, e per gli strani casi della vita si sono incontrati a Los Angeles. Ogni settimana portano la neonatina alle visite con la madre biologica e vivono nell’incertezza di non sapere.

Conosco Karen avvocato rampante di New York, bionda, sportiva, occhi azzurri, a 45 anni ha fatto l’IVF e ha avuto una bambina bellissima dai tratti latini, ma da sola non ce la faceva, allora ha lasciato New York ed è tornata a Los Angeles a vivere con sua madre, adesso scrive fiction e fa corsi di scrittura creativa. In biblioteca parlava apertamente di inseminazione artificiale davanti alle altre mamme scandalizzate. Siamo diventate subito amiche.

Conosco Jenn e Patrick che sono giovani, belli e sani e stanno dedicando i primi anni del loro matrimonio a fare i genitori in affido. Patrick lavora per la Disney e Jenn sta a casa. Finora hanno curato, amato e coccolato tre bambini che sono poi tornati alle famiglie di nascita. Sono molto cattolici ma non in maniera fastidiosa. Anzi sono grandi, soprattutto quando ci fanno da baby sitter. Patrick non parla mai e Jenn parla tutto il tempo.

Conosco diverse mamme single, papà single, coppie scoppiate e coppie fantastiche. Conosco tante famiglie, tutte sono speciali a modo loro, tutte sono alle prese con problemi diversi, tutte fanno del loro meglio, tutte hanno le loro motivazioni, tutte sono felici a modo loro (lasciatemela fare mezza citazione). Mio figlio si stupisce più del fatto che le tartarughe Ninja non abbiano le orecchie che esistano famiglie con due mamme o con due papà.

E così, oggi mi sentivo di condividere i ritratti di alcune famiglie di Los Angeles che conosco.