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When V. met R.

Nuovo posto che vai, nuove tradizioni che ti inventi.

In questo melting pot di LA ogni settimana si organizza tra di noi una cena tipica a seconda della propria nazionalità. Una pita con falafel ed hummus al ristorante libanese, un piatto di bibimpap al ristorantino coreano, un tentativo di cena vegetariana al portoghese ed una cena italiana…a casa nostra.

Mi viene come il dubbio che la rotazione non volga esattamente a nostro vantaggio, ma è così che un sabato sera ci ritroviamo nel nostro appartamento con amica R. portoghese precisina, che arriva alle otto e cinque scusandosi per l’incommensurabile ritardo e porgendomi il gelato alla vaniglia più ipocalorico, fat-free ed insipido della California; amico coreano senza l’enzima che per contrappasso è l’addetto all’alcool e si presenta con due casse di imbevibile birra alla zucca; amico arabo che chiameremo Yazi, l’unico non italiano di mia conoscenza che riesce a parlare di cibo per ore ed ore, ed ore, e che si offre di cucinare una pizza araba, basta che gli facciamo trovare l’impasto pronto. Bella Yazi, la prossima volta vengo a casa tua a fare le lasagne, se me le fai trovare in forno, ci grattuggio sopra un po’ di parmigiano. Pochi intimi comunque. Forse più pochi che intimi. Rischio tutto e decido di invitare anche amica V., a cui affido un compitino facile facile. Porta la frutta, se proprio ci tieni, qualsiasi frutta, a tua discrezione, le dico sicura di evitare pasticci con forni, padelle e frullatori mai usati dalla garanzia scaduta.

Mentre io preparo aperitivo mediterraneo e clafoutis alle pesche (lo so non è italiano e non so neanche pronunciarlo correttamente ma per il tiramisù comincio a sviluppare un feedback negativo) e contemporaneamente metto la pizza in forno con Yazi, mentre con la coda dell’occhio controllo che la gatta non si pappi le tartine al pesto di mandorle, aspettiamo tutti insieme V. che si presenta un’ora e mezza dopo, trafelata, e con le tette di fuori. Indossa dei calzettoni di lana rosa al ginocchio nonostante il clima estivo e porta in dono due confezioni di patatine al sapore di rabarbaro. ”Sono mediterranee” esulta sventolando il pacchetto unto e già aperto. E’ rimasta un tempo imprecisato al supermercato biologico più grande di LA, mi spiega, e non è riuscita a scegliere il melone migliore. Mi risparmio la battutina che sorge spontanea davanti alla sua profonda scollatura e le dico di non preoccuparsi,  visto che alle dieci stiamo ancora pasteggiando a cruditè, guacamole e focaccia araba inaspettatamente delicious. Deve ringraziare  la provvidenziale incapacità maschile di occuparsi di più di una cosa alla volta, visto che Tony ha qualche difficoltà nel tagliare la cipolla e chiacchierare contemporaneamente con gli ospiti, e la pasta ai pepperoni è ancora lungi dall’essere in tavola.

Con nonchalance V. riempie un piatto di tutto quello che trova sul nostro desco, e si siede accanto ad R. che a malapena ha sgranocchiato mezza carota. Comincia ad ubriacarla di parole e ad ingozzarla di patatine rosso porpora.  Un po’ come la mamma di Fracchia la belva umana. Mi verso un bicchiere di vino e mi godo lo spettacolo. Quando molte portate dopo in un misto di ubriachezza ed esasperazione R. cede alla proposta di iscriversi con V. al corso di danza del ventre, due cose mi sono chiare: la prima è che a LA tutto è possibile anche durante una cena che di italiano ha solo la confusione, il ritardo e tante chiacchere; l’altra è la ricetta della focaccia araba.

Pizza araba di Yazi ovvero Zaatar Manakish

Ingredienti:

  • Farina bianca 500 gr.
  • Lievito secco un cucchiaio
  • Sale
  • Acqua
  • Timo
  • Sesamo
  • Olio

Come procedere:

Preparare l’impasto della pizza con farina, lievito secco, acqua tiepida e sale e lasciarlo lievitare per un paio d’ore.

In una ciotola mischiare il timo secco sbriciolato ed i semi di sesamo e condirli con un paio di cucchiai di olio di oliva ed un pizzico di sale.

Quindi stendere l’impasto in una teglia appena unta con l’olio e cospargerla con il condimento. Infornare per 30 minuti a 200°.